5.12.14

Dolce Carmela


Doña Carmela ebbe quattro figli, la metà di quanti ne diede alla luce sua madre e un terzo rispetto a sua nonna. “Una volta sì che erano bei tempi!”, le piaceva ripetere. Da ragazza imparò a cucinare e a stirare per i suoi fratelli più grandi - vecchia scuola delle madri provinciali che si estinsero con il tempo. Insegnamenti che cercò di trasmettere, senza alcun successo, ai suoi figli che crebbero più curiosi, meno conformisti e alquanto monelli. Iván, suo marito, lavorava in miniera e spesso tornava a casa solo i fine settimana. Il suo arrivo era sempre una gran festa perché portava giocattoli, caramelle e cioccolatini per i bambini. E pasticcini per la sua Dolce - così amava chiamare Carmela da quando erano fidanzati.

Quando Doña Carmela all’età di cinquantadue anni rimase vedova, Pasquale, il figlio più grande, aveva già trent’anni e si fece carico della famiglia fino a quando, dopo qualche anno, ognuno fu abbastanza grande per prendere la propria strada. Ad ogni modo, la casa non era mai vuota. Tutti i pomeriggi dopo pranzo, arrivava qualcuno per chiacchierare delle tipiche cose di cui generalmente si parla in un paesino e sovente le portavano frutta fresca e carne secca. Alicia, la figlia più piccola, andava a trovarla molto spesso – ogni due settimane. Si lasciava viziare e la pregava di cucinarle quel dolce che Carmela era solita preparare solo per Pasqua: una torta soffice ripiena di crema al latte; tradizione culinaria di famiglia alla quale non venne mai dato un nome. Si divertivano insieme in cucina perché la nonna che era quasi sorda e passava tutto il tempo della preparazione a gridare e a indicare con il bastone. Un giorno Alicia andò a trovarla con delle amiche, ragazze della sua età e tutte appena laureate in Amministrazione. Era Pasqua e Doña Carmela le aspettava con la famosissima torta. Dopo aver assaporato cotanta delizia, qualcuno propose di venderla. Avrebbe sicuramente avuto successo in qualsiasi epoca dell’anno per la sua leggerezza, per il sapore e la presentazione. Ne portarono un vassoio intero a Lima e due giorni dopo Alicia chiamò emozionata dicendo che aveva offerto il dolce a una festa universitaria e che era andata a ruba, tant’è che aveva già una lista di ordini e richieste. E se una fortuna mai sfruttata fosse passata inosservata sotto gli occhi di generazioni e generazioni?

Rubén, il consuocero padrino di battesimo di Pasquale, era la persona giusta per darle dei buoni consigli. Si era trasferito a Lima una ventina di anni prima, però appena poteva andava a visitare Carmela e le portava dei campioncini di profumo. Conosceva bene la città e i trucchi per sopravvivere in quella giungla grigia e selvaggia che era Lima. Le spese sarebbero state alte: un locale in centro, una cucina grande, un forno a gas, due impiegate, il sito web, l’insegna all’ingresso perché “bisogna trovargli un bel nome”. Disse che trenta mila soles doveva essere l’investimento iniziale: dieci mila li avrebbe messi Alicia, i rimanenti venti mila Doña Carmela, che comunque non si sarebbe mai trasferita in città. “A chi lascio la casa?”, diceva, “come posso lasciare mia madre qui da sola”. Rubén fece avanti e indietro ben quattro volte in un mese “Non ti preoccupare Carmela, se la banca chiede un garante sarò lieto di farlo”. 

Doña Carmela iniziò a fantasticare: con i soldi guadagnati avrebbe potuto finalmente comprare una sedia a rotelle nuova a sua madre, riparare il camino della sala – visto che gli inverni erano sempre più freddi - e fare un viaggio a Bruxelles, fino a quando era ancora in forze, per poter conoscere la sua nipotina che era appena nata. Non sapeva esattamente dove fosse Bruxelles, però le sembrava piuttosto lontana e che il viaggio per arrivarci sarebbe stato lungo e faticoso. Il tempo passò e del consuocero Rubén non si ebbe più nessuna notizia e neppure del negozio. Alicia tornava al paesino tutte le settimane, ma ogni volta che Carmela le chiedeva notizie del negozio a Lima, lei sviava la conversazione. Se c’è una cosa che le madri sanno fare bene è leggere negli occhi dei loro figli: Carmela non ci mise molto a capire cosa stava succedendo. Per alcuni giorni le provocò delle fitte al petto, ma poi iniziò a sentirsi meglio; sua madre che a novant’anni continuava ancora a sbraitare in casa, era di certo una valida garanzia che la sua vita sarebbe stata lunga. Un sabato mattina entrò nella stanza che era stata adibita a biblioteca per i suoi figli quando studiavano. Tra racconti ed enciclopedie, tirò fuori un quadernino di ricette scritte a mano, tutto rovinato, sporco e quasi rotto. Quante mani scrissero e accarezzarono prima di lei quelle stesse pagine, donne che l’amarono e si presero cura di lei. Sorrise e all’improvviso, Bruxelles non le sembrò più così lontana.

Eduardo Ramon

3 commenti :

  1. Complimenti, Eduardo, scrivi benissimo in italiano.
    Il racconto mi è sembrato soave e dolce come la torta di Doña Carmela.
    Un abbraccio.

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    1. Ciao Mirella e molte grazie per il tuo bellissimo commento!! Nelle prossime settimane pubblicherò piu' racconti brevi come questo, ti aspetto ;)

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  2. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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