28.9.14

Ottavo piano


Gabriel si catapultò fuori dal letto quando si rese conto che era già tardi per andare al lavoro; la stessa storia tutti i santi giorni. Nulla aveva funzionato, né cambiare il tono della sveglia né tantomeno tenerla fuori portata. Nonostante il calendario indicasse che era ormai primavera inoltrata, le mattine continuavano a essere grigie, ragione sufficiente per rimanere al calduccio sotto le coperte.

Uscì dalla doccia e poiché ancora non c’era molta luce nella stanza, spalancò le finestre certo che, lì dove si trovava all’ottavo piano, nessuno avrebbe potuto vederlo. Mentre in tutta fretta decideva come vestirsi, ripassava mentalmente il procedimento per preparare la sua “colazione dei campioni” come lui stesso l’aveva definita: pane con tonno, acqua minerale con un po' di miele e una mela da sgranocchiare nel cammino. Come tutti quelli che sperano nel miracolo dell'ultimo minuto prima dell'estate, da qualche settimana aveva iniziato ad andare in palestra. Di fronte allo specchio posizionato sull’anta dell’armadio, forzava ogni movimento per riuscire a cogliere una seppur minima evoluzione nei suoi muscoli che, disgraziatamente, avevano ereditato la sua stessa pigrizia. Improvvisamente, vide nel riflesso dello specchio la figura di una donna un po’ in là con l’età che lo osservava dal palazzo di fronte. Non potevano essere stati solo i boxer bianchi e le calze da giocatore di golf tirate su al ginocchio – fino a quel momento i soli capi di abbigliamento che aveva indosso – l’unico motivo in grado di attirare la sua attenzione. Si voltò di scatto verso la finestra. Per tutta risposta la donna cercò maldestramente di dissimulare, facendo finta di continuare ad annaffiare i suoi gerani rossi. In un primo momento Gabriel ebbe l’istinto di coprirsi con quello che aveva a portata di mano o chiudendo le finestre, tuttavia fu colto da una strana quanto nuova sensazione: essere osservato lo affascinava. Iniziò quindi a muoversi con calma, scelse con cura la camicia optando per quella azzurra nuova che aveva messo da parte per il giorno del suo compleanno, la indossò abbottonandola lentamente, controllando con la coda dell’occhio che la sua ammiratrice attempata stesse continuando ad osservarlo.

L'incontro si sarebbe ripetuto per tutta la primavera e l'estate come un appuntamento concordato, tra due sconosciuti che, senza aver mai neppur scambiato una sola parola, sapevano ciò che l’uno si aspettava dall’altro. Lui cambiò la sua routine mattutina: non gli importava più della sveglia e neppure delle lenzuola, ma solo del pantalone ben stirato e del deodorante spray che si metteva sul petto quasi ispirato, come fosse il protagonista di uno spot televisivo. In un’occasione gli sembrò addirittura che qualcuno stesse applaudendo dall’altra parte della strada. Lei era sempre puntuale, pronta con il suo innaffiatoio in plastica, impeccabile nella sua vestaglia rosa di seta e il cappellino di paglia. Completo elegante e canzoni romantiche erano riservati al lunedì, mentre il venerdì era dedicato alla musica commerciale e all’abbigliamento casual. Cantava a squarcia gola, a volte inventando le parole e muovendosi come Elvis nei suoi ultimi anni. Di tanto in tanto un vicino gli urlava di stare zitto, ma poi taceva appena si rendeva conto della bizzarra relazione.

Un giorno lei non si presentò all'appuntamento. "Sarà malata", pensò Gabriel, ma continuò comunque a cantare e a ballare dimenando i fianchi. Aveva comprato delle camicie nuove per rinnovare il repertorio, e anche il profumo del deodorante era diventato insopportabile per tutte le volte che l’aveva messo. Passarono i giorni che nel frattempo divennero sempre più corti e freddi. Un lunedì, puntualissimo, aprì le finestre e sentì una brezza così gelida che lo fece starnutire. Guardò il balcone di lei, finalmente deciso a salutarla, a chiederle il suo nome e dirle il suo - l’unica cosa che di fatto mancava.

Rimase in silenzio ancora un po’, fino a quando vide l'ultimo geranio lasciar al vento uno dei suoi petali rossi. Chiuse le finestre, sapeva che non le avrebbe più riaperte. L'estate era finita...

Eduardo Ramón
 

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