Torres lo smilzo scoppiò a ridere fragorosamente, sbattendo entrambe le mani contro il tavolo, quando il cameriere che ci aveva portato il secondo giro di birre ci confermò che il tipo seduto dall’altra parte del locale era il leggendario Baffo Carrillo. “Mi devi il prossimo giro!”, disse lo smilzo, togliendosi la cravatta con la mano sinistra mentre con la destra si riempiva il bicchiere. “Quell’uomo era il mio eroe, per dio!”, continuò nostalgico. Forse fu un eroe per tutti quelli che, come noi, vedevano il suo programma sul cinque, un tripudio di ballerine e cantanti da tutto il mondo. “Grazie a lui Héctor Lavoe iniziò la sua carriera, e dicono che Mercedes Sosa lo trattasse come un fratello ogni volta che si vedevano. Ha fatto il giro di tutto il pianeta, e ora guardalo lì a bere solo soletto”.
In realtà, a me sembrava che stesse sorseggiando tranquillamente una Coca Cola sapendo che nessuno lo avrebbe riconosciuto e lo avrebbe infastidito chiedendogli un autografo o una foto. “Andiamo a parlargli”, dissi allo smilzo. “Lascialo in pace, avrà i suoi buoni motivi per starsene lì da solo”, rispose senza mollare neanche per un secondo il bicchiere che aveva appena rabboccato. Rimanemmo a chiacchierare per un’altra ora e quello che mi raccontò lo smilzo sul nostro ufficio mi lasciò a bocca aperta. Lo smilzo rideva “Se solo sapessi, amico mio! Il nostro ufficio è un puttanaio”. Io intanto, con la coda dell’occhio, vedevo Baffo Carillo intento a scolarsi da solo una bottiglia di rum. Erano appena le undici e già la moglie dello smilzo aveva iniziato a inondarlo di chiamate e messaggi. “Quanto rompe sta vecchia, uno non è neanche libero di potersi svagare un po’! La tua invece grazie al cielo ti lascia tranquillo”. Alla fine si mise in piedi un po’ barcollante, aprì il portafoglio e buttò sul tavolo due banconote da venti soles. “Se avanza qualcosa, offri un giro a Baffo, digli che sono sempre stato un suo ammiratore. Cazzo, quanti ricordi! E’ un grande Baffo Carillo!”. Mi lasciò la bottiglia intera, bevemmo alla goccia ciò che rimaneva nei nostri bicchieri e se ne andò canticchiando la sigla d’inizio del programma del Baffo, “Lo Stellare del Cinque”.
Saranno state le sei bottiglie smezzate con lo smilzo, il ristorante quasi vuoto con gli unici due tavoli occupati da Baffo Carillo e da me, o semplicemente che ancora non avevo voglia di tornarmene a casa. Fatto sta che presi la bottiglia piena rimasta sul tavolo, mi avvicinai lentamente cercando di dissimulare l’andatura visibilmente incerta a causa dell’alcol. Lo salutai come se fosse un vecchio amico e lui, con mia grande sorpresa, mi fece sedere al tavolo con lui. Chiamò il cameriere e chiese di farci portare un altro piattino di arachidi salati e ghiaccio per il suo rum. Gli stessi baffi, lo stesso sorriso grande e rilassato, gli stessi occhi verdi. Baffo Carillo era esattamente uguale a come lo ricordavo anche se ora appariva più stanco, abbattuto, forse anche un po’ triste. Iniziò a raccontarmi - quasi senza che gli domandassi - dei suoi viaggi negli Stati Uniti, delle auto che si era comprato per fare colpo sulle modelle e le presentatrici dell’epoca. Mi raccontò che la brasiliana Paula De Oliveira fu una delle sue amanti. E, tra me e me, ricordai che le migliori seghe me le ero fatte pensando proprio alla bellissima Paula. Non si scomponeva soffiandomi il fumo del suo cubano in piena faccia mentre continuava a raccontarmi le sue avventure.
Passò dagli anni sessanta ai novanta e dagli ottanta ai settanta senza fare una piega, come se fosse in una macchina del tempo. “Che bei tempi!”, mi limitai a rispondergli non potendo aggiungere altro. In confronto a lui io ero insignificante, non avevo vissuto neppure un decimo di tutto ciò che aveva vissuto lui! Si accarezzò un enorme anello dorato, e solo a momenti, si ricordava di nascondere le maniche della sua giacca, sporche e usurate. All’improvviso la sua espressione cambiò, gli occhi gli diventarono lucidi e le dita iniziarono a tremargli. “Le donne possono essere la tua più grande vittoria e la tua peggiore sconfitta” disse buttandomi il fumo in faccia. “Non importa che ti amino o ti odino, basta che sappiano chi sei”, affermò trionfante. Fece una lunga pausa, guardò il suo orologio, dodici e quarantasette della notte. Spinse la sedia indietro, si alzò con difficoltà e mi diede due pacche sulla schiena prima di andarsene “Prenditi cura di te figliolo, molte grazie”. Il cameriere mi portò in fretta e furia il conto - mio e di Baffo Carrillo. Mentre lasciavo i soldi sul tavolo mi rendevo conto che quella sera non solo avevo imparato molto sul mio eroe di infanzia, ma anche su me stesso.
Eduardo Ramon
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