21.8.17

La telefonata


Delle quattordici chiavi che lo rendevano la persona meno silenziosa dell’edificio, Luca sapeva a occhi chiusi quale fosse quella dell’ufficio del manager. Ciò che amava di quel luogo al trentesimo piano erano le enormi vetrate dalle quali si poteva godere di una vista panoramica su tutta la città, e il fatto di poter leggere tranquillamente il giornale spaparanzato sulla sedia reclinabile di cuoio ogni sabato che faceva le pulizie.

Da circa due settimane però l’evasione del sabato mattina per la quale si concedeva di leggere il quotidiano seduto sulla comoda sedia del manager, era stata rimpiazzata dal freddo rimirare lo schermo del suo cellulare, dove scorrevano foto che lui analizzava riflessivo, e da vecchi messaggi di testo che lo riportavano ai bei tempi passati, epoca felice ma sempre più lontana. Ripassava con nostalgia e con una rilettura quasi ossessiva ogni parola di quei messaggi. Una strana forza – o la mancanza della stessa - gli impediva di cancellarli nonostante sapesse che forse così si sarebbe finalmente levato quel peso dal petto che spesso nella notte non lo faceva dormire. Uno di quei sabati mentre il suo sguardo vagava sul piccolo monitor, qualcosa lo interruppe: il telefono della segretaria cominciò a squillare. Non aveva l’obbligo di rispondere, nessuno lavorava quel giorno tranne lui. Però l’instancabile apparato continuò a suonare.

- Pronto?
- Buon giorno, Ospedale del Centro?
- No, ha sbagliato numero.
- Chi parla?
- Ha chiamato la Textiles Ribson.
- Mi scusi, grazie lo stesso.
- Non si preoccupi, le auguro un buon…
- Mi chiamo Sandra.
- Mi scusi? –domandò Luca guardando l’auricolare, pensando che si trattasse di uno dei tanti scherzi che gli avevano fatto in passato.
- Deve perdonarmi, ma forse potrebbe fare qualcosa per me…
- Non capisco, guardi che ha sbagliato numero.
- Sì ma devo dirle qualcosa, per favore non riagganci. Mi chiamo Sandra e sono una madre che ha perso suo figlio. Se un giorno vedesse per la strada un ragazzino di quindici anni, alto, timido, con i capelli crespi e gli occhi nocciola, si avvicini e gli chieda se si chiama Santiago. E lo convinca a tornare a casa…

Luca ascoltava ancora sconcertato. Si lasciò cadere sulla sedia della segretaria e sospirò guardando il soffitto, pensando bene a quello che stava per dire.

-Mi dispiace molto signora, immagino quanto sia difficile vivere una tragedia come questa. Ma le chiedo di fermarsi un attimo a riflettere: cosa le piacerebbe dire a suo figlio Santiago ora, a parte che lo sta cercando? Forse che continua ad ascoltare la sua musica preferita, o che si sveglia tardi la domenica o che ancora prepara quel dolce che tanto gli piace. Quando arriverà il momento in cui vi ritroverete, perché sicuramente succederà, saprà allora che il modo migliore di aspettarlo fu continuando a vivere. Un ricordo, anche se brutto, ci dice che siamo vivi perché possiamo sentirlo. L’oblio invece è crudele ed è il vuoto mortale.

Lo disse con un tono onesto, diretto e ispirato, come se stesse parlando a se stesso. Dall’altra parte del telefono si sentiva un respiro calmo, rilassato. La donna sembrò sussurrare una frase e riattaccò. Per un po’ Luca rimase attaccato al telefono senza poter credere a ciò che aveva appena fatto. Di certo c’era che quel giorno due sconosciuti si erano salvati la vita.

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