Odiavo il mio lavoro, o meglio, odiavo il mio capo. Già doverlo chiamare così m’irritava, mi dava un leggero disgusto come quando si dice una di quelle parole che sono quasi taboo, che si possono dire solo a voce bassa e sono permesse solo in alcuni contesti speciali o le possono pronunciare solo alcune persone strane tipo i medici. Perché bisogna essere proprio bizzarri per poter dire o sentire termini come “diarrea” senza fare una piega e ancor peggio interessandosi della questione.
Ci fu in passato un periodo nel quale andavamo d’accordo, addirittura fece in modo che mi dessero un aumento di stipendio dopo soli sei mesi di assunzione nell’azienda. Non so esattamente il momento, però il suo comportamento nei miei confronti divenne improvvisamente ostile. Aveva un’osservazione su tutto ciò che facevo, dal mio orario di arrivo al lavoro (ammetto la mia cattiva abitudine di arrivare sempre tardi) fino alle virgole nei miei articoli. Quando mi disse per l’ennesima volta che la mancanza di virgole nel mio testo poteva confondere il lettore, avrei dovuto rispondergli un elegente “Ma sai dove te le metto le virgole…?!”, ma mi contenni per rispetto alla sua età. Inutile cercare di spiegare a un tizio di quasi cinquan’anni, che in una pubblicazione web, tutto deve essere fluido senza approfondire troppo, perché la gente oggi cerca un’informazione rapida e completa, soprattutto nelle notizie sportive. A nessuno fregava niente di vedere due virgole in meno se l’informazione chiave era che il goleador del campionato si era fatto male. Probabilmente il vecchio aveva ragione, ma visto che continuò a rompermi, io, ovviamente, continuai a odiarlo.
A uno di quei cervelloni delle Risorse Umane un bel giorno venne in mente di migliorare i rapporti all’interno della società promuovendo l’organizzazione della grigliata semestrale per ogni dipartimento. Nessuno di noi ebbe il coraggio di spiegare che nella Redazione sportiva eravamo sette uomini e una donna, e che se c’era qualche problema tra di noi lo risolvevamo la sera stessa con un paio di birrette nel bar vicino. Non esistevano né drammi né malelingue, anzi eravamo una squadra di persone tranquille che lavoravano insieme da anni, senza lode né infamia. Quello che non avevamo in bellezza lo guadagnavano con l’impegno, aveva detto saggiamente un collega. In effetti, tra tanti panzoni l’unica cosa che ci dava un po’ di estetica era la nostra talentuosa collega Francesca, che alla fine era una specie di Bianca Neve con i suoi sette nani. Il capo era Brontolo, senza dubbio. Ad ogni modo l’ordine arrivò direttamente dalla dirigenza e Brontolo non potè fare a meno di organizzare una grigliata a casa sua. Con la solita gentilezza, mi chiese di anticipare un paio di articoli che dovevo preparare per lo speciale sul Mondiale di calcio dato che nel week end saremmo stati impegnati con l’uscita della confraternità. Se all’inizio avevo pensato di non partecipare in segno di protesta, dopo essermi calmato, una malefica lucidità mi fece pensare che forse avrei potuto lasciare un pregevole souvenir in casa del capo, d'altronde si sa, un bagno intasato capita a tutti.
Quel sabato arrivai tardi, e dopo aver subito le più che fondate batture dei miei colleghi per il mio proverbiale ritardo, domandai dove fosse il bagno, disposto a non perdere tempo nel mettere in pratica il mio daibolico piano. Un sacchetto pieno di terra era adagiato insospettabilmente nella tasca sinista del mio pantalone, aspettando pazientemente il momento giusto per entrare all’opera. Quando stavo attraversando la sala fino al bagno mi scontrai con una bellissima bionda intorno ai quarant’anni che teneva per mano un bambino di circa otto anni. Mi sorrise amabilmente, presentandosi come Mariana, niente meno che la moglie del capo. Tutte le parole e i complimenti che volevo farle si bloccarono in gola, e mentre cercavo inutilmente di sorridere, uscivano dalla mia bocca disordinati e incoerenti come squllidi proiettili sparati in aria a caso. Lei fece finta di niente e mi chiese se la potevo presentare al resto del gruppo. Come mi succede quando sono nervoso, tirai fuori il portachiavi dalla tasca destra e comincia a lanciarlo da una mano all’altra. All’improvviso apparve il capo che era stato in cucina fino ad allora, mi diede una bella manata sulla spalla e con mia gran sorpresa disse a sua moglie che io ero proprio “un bravo ragazzo”. Ci fecero accomodare al tavolo e quando lei mi passò vicino, sentii il suo profumo che scatenò in me un caos ormonale completo. Sinceramente non so come sarebbe finita quella notte, forse facendo amicizia con il mio capo, raccontando le mie migliori barzellette sempre e solo per vedere la sua bella moglie sorridere, flirtando un poco come con Bianca Neve, ubriacandomi con i colleghi oppure tutte queste cose insieme. Ad ogni modo, non lo saprò mai perché camminando verso il giardino dopo aver mangiato, iniziai a lasciare involontariamente dietro di me una scia di terra che usciva dal sacchetto della mia tasca sinistra che si era bucata con le chiavi che avevo messo nel posto sbagliato. Tutti se ne accorsero e io, con le parole bloccate ancora una volta dal mio mezzo sorriso, non trovai la battuta giusta per tirarmi fuori dall’imbarazzo.
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