19.8.22

Déjà vu

L'uomo che seguo con attenzione non si ferma un minuto e continua a camminare a passo spedito. Sono a una quarantina di metri dietro di lui, a volte guarda in entrambe le direzioni, come se fosse un tic nervoso. Tiene le mani in tasca, forse è il freddo tenue dell'inverno quasi spento o forse si nasconde lì il motivo per cui lo seguo.

Non perdo di vista il mio obiettivo, a furia tanto guardarlo posso prevederne i movimenti. Cammina in modo strano, come se le sue scarpe lo infastidissero ed evitasse l'attrito con i talloni ad ogni passo. La sua mania di guardare ai lati ha cominciato a infastidirmi, così decido di calmarmi accendendo l'ultima sigaretta, mentre proseguiamo lungo l'enorme e trafficato viale.

Nei cinque secondi che mi ci sono voluti per accendere la sigaretta, due soggetti mi hanno superato su entrambi i lati e mi ci sono voluti altri cinque secondi per capire che stavano cercando lo stesso uomo. La mia curiosità si trasforma in preoccupazione, e la preoccupazione si trasforma in terrore mentre accelerano il passo mentre la loro preda gira per una strada. Per un attimo li perdo di vista, non posso più simulare e affretto la marcia. Loro sono troppo vicini e io sono troppo lontano. Uno dei soggetti si separa dall'altro e attraversa la strada. Mi distraggo e quando guardo indietro è già tardi: quello che non ha attraversato la strada ha estratto una pistola dal cappotto e ha allungato il braccio puntandolo verso la testa dell'individuo che stava seguendo e che ormai conosco. So che non si guarderai mai indietro.

Il colpo del proiettile risuona per tutta la strada e il poveraccio cade a faccia in giù sul marciapiede. Maledetti! La gente inizia a urlare e correre, i due uomini scompaiono rapidamente dalla scena. Io sono l'unico che, invece di indietreggiare, si avvicina alla figura immobile del disgraziato, che affoga i suoi ultimi respiri nel proprio sangue. Durante il breve tratto, incrocio lo sguardo con una giovane ragazza che ha l’espressione di avermi già visto. Mi passa accanto, sfiorando leggermente la sua mano sinistra con la mia. Raggiungo la vittima, che giace distesa in una pozza scarlatta. Quasi senza pensare, gli afferro la spalla e lo giro verso di me. È allora che le mie ginocchia cadono pesanti sul selciato, rompendosi con il resto del mio corpo, scoprendo che l'uomo che hanno ucciso sono io.


Eduardo Ramon (Milano, 2015)

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