19.8.22

Camera a gas


Tutto cominciò un martedì mattina con un semplice fastidio al collo. Elena diede la colpa al suo cuscino, che non aveva più la forma ergonomica di prima. Due giorni dopo, tuttavia, trovò dei lividi e graffi su diverse parti del suo corpo sempre più dolorante. Quando il medico le spiegò che poteva trattarsi di sonnambulismo, lei rifiutò l'idea di prendere appuntamento dallo psicologo e di monitorare le sue funzioni vitali durante il sonno.

Non beveva, non fumava, aveva sempre fatto attenzione a ciò che mangiava e da quando frequentava l'università andava in palestra, sembrava strano che le stesse capitando un disturbo del genere. La paura di dover stravolgere la sua routine le fece annullare la prossima visita programmata dallo specialista. Chiese alla sua migliore amica di trascorrere la notte insieme, osservando i suoi movimenti. Lei arrivò il venerdì con il computer carico di film, pronta per rimanere sveglia. Entrambi aprirono gli occhi il giorno dopo alle nove. L'amica non ricordava quando si era addormentata, il computer era ancora sulle sue gambe con la batteria completamente scarica, segno che era stato acceso tutta la notte. Elena non notò nessun nuovo livido sul corpo, il che la sollevò. Probabilmente stare in compagnia le aveva permesso di riposare bene. Mentre stava preparando la colazione, sentì l'urlo della sua amica provenire dal bagno. Corse immediatamente a vedere cosa stava succedendo e la trovò impallidita davanti allo specchio, indicando col dito qualcosa sul suo petto. Il primo bottone che chiudeva la scollatura del suo pigiama era stato strappato via e in quello spazio esposto della pelle c'era una piccola ferita rossastra, come se fosse stata fatta con un oggetto affilato. Chiamò immediatamente il suo medico e descrisse con nervosismo cosa era successo. Lui insistette che l'evento confermava un disturbo del sonno in fase di sviluppo e che era necessario iniziare le cure quanto prima.

Nonostante perquisirono l'intero appartamento, il bottone del pigiama non fu mai trovato. Nel pomeriggio, Elena salutò la sua amica che non riusciva ancora a superare lo spavento, e si vergognò di chiederle di passare con lei un'altra notte. Si sentiva angosciata, non riusciva a credere di essere capace di fare del male agli altri né a se stessa. Chiamò i sui genitori, che vivevano a circa tre ore da casa sua, per raccontare quello che era successo negli ultimi giorni. Fino a quel momento aveva nascosto il problema ma non poteva più tacere. La rassicurarono dicendo che sarebbero arrivati la mattina dopo per stare con lei e accompagnarla in ospedale. Doveva solo mantenere la calma ed essere paziente per qualche ora in più. 

Poiché l'esperimento della scorsa notte era fallito, prima di addormentarsi le venne in mente di lasciare il computer acceso con la telecamera puntata verso il suo letto. Era determinata a scoprire una volta per tutte cosa stava facendo inconsciamente. La notte procedeva e gli occhi di Elena si chiudevano, sfiniti. La piccola luce LED della telecamera tagliava leggermente l'oscurità della stanza. Poco dopo mezzanotte, il condizionatore si accese automaticamente, rilasciando un gas nocivo. In pochi secondi l'aria nella stanza divenne stantia ed Elena svenne sotto le lenzuola, al punto da sembrare un cadavere. Lentamente, la porta della camera da letto iniziò ad aprirsi, facendo uno scricchiolio quasi impercettibile. La telecamera, sempre imperturbabile, assistette all'irruzione di due figure scheletriche sul palco poco illuminato. Niente ruppe la calma in quell'ambiente, nemmeno quando spogliarono Elena e le passarono ripetutamente le loro unghie decomposte sul corpo inerte, in una specie di rituale perverso. Quella telecamera impassibile fu lasciata accesa abbastanza a lungo da vedere più di una persona perdere la ragione il giorno successivo, quando scoprirono cosa avevano fatto quelle creature con Elena, nella sesta e ultima delle loro visite.


Eduardo Ramon (Roma, 2014)

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