21.8.17

Il soldato spagnolo


Arrivò in un pomeriggio come tanti con due sacchi neri di plastica, dalla montagna più alta, là dove si poteva vedere tutta la città, che dal canto suo, restituiva lo sguardo con disprezzo. Gli abitanti di quell’umile luogo accolsero con silenzio solidale il timido anziano che si affannò a finire di costruire rapidamente un giaciglio con una base di legno e cartoni che aveva diligentemente raccolto per un mese.

Uno dei residenti del quartiere era un giovane di dubbia fama, cosa della quale a non molti importava in quanto, in quell’area, erano ben pochi coloro che riuscivano a sopravvivere con onore. Il vecchio vendeva giornali e riviste vicino al mercato dove il giovane girovagava con la sua banda e tra un incrocio di sguardi el’altro si abituarono a darsi il buongiorno. Il vecchio non era di molte parole, come se le sue parole fossero quelle poche monete che guadagnava e preferiva non spendere inutilmente. Quando il mercato chiudeva, gli unici posti che rimanevano aperti erano i bar mal frequentati, dove i portafogli più leggeri potevano trovare rifugio. In quei posti maleodoranti e sudici, che sembravano non dar fastidio ai parrocchiani dall’indole triste, il giovane si imbattè nuovamente con il vecchio al quale piaceva sedersi da solo, guardando il suo bicchiere di plastica pieno di rum e che faceva girare lentamente sul tavolo. “La Russia è colpevole!” – gridò improvvisamnete il vecchio un giorno e chi lo sentì si mise a ridere pensando che quel tipo solitario era diventato matto. Con il passare delle settimane continuò a urlare altre frasi ed evviva incoerenti, cosa che a qualcuno cominciò a dare fastidio, tanto che, in più di un’occasione, il giovane dovette intervenire per evitare una lotta impari. Queste azioni non passarono inosservate e un giorno il vecchio invitó il giovane a casa sua per bere qualcosa insieme lontano dalle risse e dall’insopportabile puzza di quel bar.

La stanzetta era buia ma perfettamente ordinata. Il vecchio prese due pneumatici di camion che teneva in un angolo e vi mise sopra due cuscini per farle diventare un sofá. Si servirono un bicchiere colmo di rum, ma non passò molto tempo prima che il vecchio riprese a delirare. “¡Voljov, Voljov!” –ripeteva instancabile e non sembrava esserci modo di fermarlo. Il giovane decise di lasciarlo farneticare, però la curiosità lo fece ritornare la sera dopo, soprattutto per chiedergli che diavolo significasse Voljov. Allora, il vecchio –che sembrava essere rimasto in attesa di quel momento – gli porse la mano e si presentó. Disse di chiamarsi Luis Ángel Sánchez Molina e di essere un cittadino spagnolo. I sottili capelli bianchi, la pelle rovinata dal sole e l’accento ormai perso fecero sì che il giovane non potesse nascondere una smorfia di scherno. Il vecchio tuttavia non fece una piega e continuó. Apparteneva alla División Azul, nella quale si era arruolato volontariamente quando aveva sedici anni, falsificando i documenti per combattere a Leningrado contro i russi comunisti insieme all’esercito tedesco durante la Seconda Guerra Mondiale. “Sono un veterano del Regimento della Infantería Martínez Esparza!” concluse. Chi poteva credere a questo povero nonnetto alcolizzato? –pensó il giovane, estremamente divertito dalla scena.

Dal quel giorno il vecchio divenne una macchina inarrestabile che narrava racconti e il giovane lo cercava sempre per ascoltare ancora più storie incredibili e affascinanti. “Non avendo raggiunto l’obiettivo ci mandarono a casa, però io decisi di andare in Francia per due anni. Da un momento all’altro la gente iniziò a guardarmi male, mi davano dell’estremista, per questo scappai e per un errore del destino finii in carcere”. Codice antico degli ex reclusi era non confessare il motivo della condanna e anche in questo caso venne rispettato. “Ho visto mezza Europa con i miei occhi e con gli stessi ho visto finire metà della mia vita intrappolato in quattro pareti”. La voce del vecchio a momenti si assottigliava, il suo sguardo in quegli istanti era più eloquente delle sue stesse parole. Una sera nella quale il rum scorreva a fiumi confessó: “Nascosi una fortuna in un campo prima che mi arrestassero e adesso è un maledetto parco nel bel mezzo di un qualtiere di lusso. Come mi videro mi cacciarono immediatamente. So esattamente dov’è, si tu riesci a recuperarlo, ti prometto che ti dò la metà”. Il giovane immaginò fosse una delle tante fantasie del vecchio, ma quegli occhi stanchi brillavano ogni volta che pronunciava la parola tesoro.

Cinque anni più tardi, guardando la montagna miserable da lontano, il giovane sentì la mancanza delle tante avventure che gli raccontava il suo eroe spagnolo, ricordi che poco a poco scomparivano dalla sua memoria come cubetti di ghiaccio in un bicchiere di rum

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