3.11.14

Malasorte

“L’unica cosa che ho fatto è stato correre con lei”, mi dice con un filo di voce, lo sguardo nel vuoto e il volto pallido; ritratto di un uomo distrutto. Scarabocchio due cerchi sul mio quadernetto cercando di concentrarmi e gli domando di raccontarmi ancora una volta tutta la storia. Vorrei offrirgli una sigaretta, ma me ne rimane solo una e già so che ne avrò bisogno più tardi. Lui appoggia le mani sul tavolo e comincia di nuovo.

“Nell’autunno 2010 decisi di riscrivermi in palestra e di fare attività fisica all’aria aperta. Cominciai ad andare al Parco Sempione, a circa un kilometro da casa mia. L’idea era di correre cinque kilometri al giorno, così sarei stato in forma per l’estate. Un pomeriggio, mentre stavo facendo stretching, la vidi per la prima volta. Incrociammo gli sguardi, poi lei andò per la sua strada e io per la mia. Il giorno dopo ci incontrammo ancora, questa volta ci salutammo velocemente e come il giorno precedente ognuno per la sua strada. Ricordo con certezza che era una domenica quando ci vedemmo nuovamente e decidemmo di correre insieme. Mi presentai, lei mi disse il suo nome, mi domandò da quanto tempo correvo, domande semplici e veloci. Era bella, mi piaceva e credo che anche io le piacessi, mi guardava in quel modo, non saprei bene come spiegarlo… però capisci quando una ragazza è interessata a te. Corremmo insieme tutta la settimana successiva e la domenica, che cadeva proprio l’ultimo giorno del mese, prima di salutarci mi invitò a casa sua a fare un aperivo. Io accettai volentieri pensando che magari avremmo finito la serata baciandoci. Camminammo per quindici minuti fino al suo appartamento che era al decimo piano di un palazzo nuovo. Mi fece accomodare nella piccola sala e poi credo le fosse venuto in mente qualcosa perché mi disse che doveva uscire a comprare qualcosa. Mi offrii di accompagnarla ma lei rifiutò e mi chiese di aspettarla, che non ci avrebbe messo molto. In realtà, non tornò più…”

- Quasi non la conoscevi, quale ragazza lascerebbe una persona appena conosciuta da sola in casa propria?!

- Non lo so, forse si fidava di me…

- Dove pensi che potesse andare a comprare qualcosa se la domenica è tutto chiuso!

- Magari glielo avessi chiesto, io avevo la testa da tutt’altra parte…

- Hai detto che sei rimasto solo in sala, allora perché abbiamo trovato tue impronte nella sua stanza?

- Stavo curiosando, nulla di più…

- Abbiamo un video nel quale si vede che pochi minuti dopo essere uscito sei ritornato?

- Ovvio, non sapevo che fare, per un momento pensai di andarmene, ma poi se lasciavo la porta aperta e le svaligiavano la casa sarebbe stata colpa mia…

- Ok…cercherò di essere chiaro e ti chiederò una volta per tutte, per il bene di entrambi, di dirmi che cosa è successo con Valeria Brero la notte del trentuno di Ottobre del 2010.

- Glielo giuro sulla mia vita, non lo so!

- Credi forse che la tua vita valga più della vita di quella ragazza? Aveva appena ventiquattro anni!

- Se potessi tornare indietro nel tempo non entrerei mai in quella casa!

- Però l’hai fatto, quindi dimmi, dove cazzo l’hai messa?

- Non lo so, merda! Io non ho fatto nulla! Non ho ammazzato nessuno per Dio!

- Stai zitto, miserabile, stai zitto! Qui comando io, mi capisci, ti dirò io quando aprire bocca e quando no, mi hai già stufato con la tua stupida faccia

Scoppia a piangere con lo sguardo rivolto verso il pavimento mentre io mi asciugo il sudore dalla fronte. In mezz’ora ho scritto solo sette parole nel mio quadernetto.

“Sai, io so tutto di te. A scuola ti chiamavano coniglio per i tuoi dentoni e una volta hai fatto a pugni con uno dei tuoi compagni perché si prendeva gioco di te. All’università ti innamorasti di Alessandra, che però ti tradì con il tuo migliore amico. Ti eri iscritto a un sito di scommesse e una volta perdesti duecento ventidue euro. Potrei continuare, come ti ho detto so tutto di te”. 

Mi guarda sorpreso, fà per prendere aria come preparandosi a rispondere, poi lascia cadere le spalle, rassegnato. Guarda il tavolo, guarda il mio quadernetto, infine guarda me, quasi tentando di leggere i miei pensieri. Non so se ho davanti un perfetto psicopatico o un poveretto molto sfortunato. Mi alzo, lo saluto dandogli la mano. Sto pensando che ho solo un gran bisogno di fumare l’ultima sigarette che mi è rimasta, andare a casa e bermi un paio di birre. Lui deve tornare nella sua cella. “L’unica cosa che ho fatto è stato correre con lei”, ripete. E stranamente io gli credo…

Eduardo Ramon (Milano, 2013)

1 commento :

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