21.8.17

Overdose


Disse Franklin Roosevelt che gli uomini non sono prigionieri del destino, ma prigionieri della loro stessa mente. E questa frase ispiratrice Lorena non l’avrebbe mai conosciuta se non fosse perché la lesse nel foglietto d’istruzioni che trovò nel pacchetto di pastiglie che aveva appena comprato. Quasi disperata per la sua situazione, si rivolse a un medico omeopatico che le aveva consigliato una delle sue migliori amiche. A nessun altro avrebbe potuto confessare il suo imbarazzante segreto. A quarant’anni, definiti ormani i nuovi trenta e in pieno apogeo della sua maturità fisica e mentale, suo marito, che aveva un paio di anni più di lei, aveva – per utilizzare un termine tecnico - smesso di funzionare.

Impossibile. Questa era la parola che più menzionava da quando una sera si rese conto che l’organo prediletto per far lavorare la macchina dell’amore (e non stiamo parlando del cuore) sembrava dormire tranquillamente e, il colmo, era che l’arnese fosse completamente refrattario a qualsiasi sua espressione. Stanchezza. Era la scusa che trovò lui per uscire da quella situazione scomoda e per cercare di conciliare il sonno dopo tale colpo alla sua virilità. Stress. La vaga seppur lunga motivazione che trovarono su Internet. Come si cura lo stress? Si deve accettare che la tua vita sessuale sia praticamente finita nel bel mezzo del cammin di nostra vita? Bello scherzetto che ci fa la natura, chiudere all’improvviso e senza avviso qualsiasi tipo di rapporto con uno dei membri più apprezzati della nostra anatomia e lasciarci ancora in vita portandoci dietro un peso morto per il resto della nostra esistenza. Proprio un bello scherzo. Lasciarono passare qualche settimana e vedendo che non c’era film, profumo nè indumento intimo che potesse risvegliare il nano addormentato, decisero di rivolgersi al medico, che sorridendo gli prescrisse una bella vacanza, perché fisicamente tutto era a posto. Così fecero e fu allora che, stesi sul bordo della piscina si resero conto che erano diventati troppo “genitori”. Adoravano i piccoli gemellini, ma probabilmente occuparsi troppo di loro aveva bloccato in qualche modo la delicata valvola della passione.

Quando l’amica parlò del medico omeopata, che si era occupato della salute della sua famiglia per anni, lei in un primo momento non ne fu molto convinta, ma data l’insistenza e sapendo che non aveva nulla da perdere, si presentó davanti al famoso personaggio. Con la serenità che conferisce l’esperienza, il medico le disse che di casi del genere ne aveva visti a centinaia e che non doveva preoccuparsi. Piccolo com’era, si perse per un momento tra gli scaffali pieni di creme, erbe e unguenti. Riapparì con una scatolina bianca in mano e sempre con una postura rilassata. Allora si sedette su una sedia di cuoio di quelle che girano e inizió a spiegare l’importanza del fattore mentale in qualsiasi malattia, rilevante tanto quanto i batteri o le difese che la provocano o la combattono. Un paziente suggestionato può sentire più o meno dolore dipendendo dagli stimoli che riceve. Lorena ascoltava attentamente e allo stesso tempo si chiedeva cosa mai ci fosse nella scatolina. Terminata la breve introduzione, l’omeopata le chiese complicità per quello che stava per succedere. Tirò fuori dalla scatoletta bianca un contenitore di plastica senza etichetta, ma pieno di pastiglie. Doveva convincere suo marito che erano multivitaminici rinforzati con erbe rare della foresta amazzonica grazie alle quali avrebbe aumentato la sua forza e le sue prestazioni amatoriali in poche ore. In realtà erano solo caramelle a forma di pillole medicinali, ma lui non avrebbe dovuto saperlo. Era il momento di ingannarlo e di osservare il magico potere della mente. Se questo non avesse funzionato, c’era sempre la possibilità di un piano B. Lorena, basita, non avrebbe mai accettato se non fosse stato che le “pastiglie” in questione costavano davvero sciocchezza.

Quella stessa sera, dopo aver messo a letto i piccoli, Lorena tirò fuori dalla borsetta il contenitore e ripetè le stesse parole che lo specialista le aveva esposto convincendola qualche ora prima, ma prendendosi la libertà di aggiungere alla formula anche qualche erba rara dell’India, un tocco di erotismo ancestrale che le sembrò adeguato per la circostanza. L’uomo caddè subito nella trappola e ingoiò un paio di pastille con un sorso d’acqua. Era da quando si erano appena sposati che lei non aveva più vissuto una notte così selvaggia. Non sapeva se il medico l’avesse fregata o se davvero il placebo stava sortendo l’effetto desiderato. Tant’é, quello non era certo il momento di mettersi a pensare! Il giorno dopo passò in un lampo tra i mille messaggi sconci che scambiò con il suo ritrovato e focoso sposo amante che non vedeva l’ora di rivederla. Tuttavia, una volta a casa, lo trovò pallido e spaventato. Le confessó che per l’emozione aveva appena ingoiato tre pastiglie e che dovevano andare subito all’ospedale per essere certi che non si verificasse un episodio di overdose. Lei quindi, sorrise divertita e lo baciò. Sarebbe stata un’altra notte lunga e dolce come una caramella.

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