21.8.17

Il primo della classe


Ero di fretta e di pessimo umore perché proprio quando avevo bisogno della macchina – mio figlio aveva la sua prima recita a scuola – il mio meccanico di fiducia mi chiamò dicendo che l’officina era chiusa perché si era svegliato con un febbrone da cavallo. Guardavo continuamente l’orologio e il cellulare, pensando al giorno in cui qualcuno avrebbe finalmente inventato un’applicazione per il teletrasporto. Continuavo a imprecare a denti stretti mentre camminavo per la strada senza riuscire a fermare un maledetto taxi perché tutti erano occupati, confermando la mia teoria per la quale se un giorno deve andare tutto storto, non c’è nulla che si possa fare per impedirlo.

Dopo quasi dieci minuti di attesa riuscii a trovarne uno che mi portò a destinazione. Probabilmente mi disse il prezzo, ma la mia mente era concentrata su altri pensieri come quello di ia moglia e la sua tipica faccia da “dove-sei-stato” e “sicuramente-per-te-ci-sono-cose-più-importanti-di-tuo-figlio-o-di-me”. Il tassista era un tipo robusto con la barba incolta e brizzolata e raccontava una balzelletta dietro l’altra. All’inizio non ci feci caso, poi sentondolo ridere come un pazzo delle sue stesse battute, mi passò l’arrabbiatura e iniziai a ridere con lui. Notando che guardavo l’orologio ogni due minuti mi chiese come mai fossi così in ansia, rassicurandomi, allo stesso tempo, che avrebbe cercato di fare il prima possibile. Quando gli raccontai del meccanico e della recita di mio figlio diventò ancora più estroverso e mi raccontò che lui aveva tre figli: Lucas, Esteban e Valeria. Dei tre solo Valeria, la più piccola, aveva preso da lui la sua stessa abilità con i numeri, tanto da fargli ricordare di quando lui andava a scuola e otteneva i voti migliori. Però, questo è certo, a Valeria aveva insegnato ciò che lui stesso aveva imparato dalla vita, non sedersi mai sugli allori perché sempre ci sarebbe stato qualcuno che si sarebbe messo d’impegno per superarla o che facilmente l’avrebbe superata, come era successo a lui. “Un giorno, quindi, arrivò un ragazzino dalla provincia, che neppure sapeva parlare spagnolo, ma che era sempre il più bravo in tutto. Studiava giù a testa bassa quel disgraziato!”. Si divertiva raccontando di quel bambino che era venuto dal centro del paese per togliergli il trono. “Era magrino quello, sarebbe stato meglio che gli avessi dato una banana Chiquita per non farlo studiare tanto e rompermi le scatole, ah ah ah!”. Gli raccontai che io ero nato in provincia, ma ero cresciuto in città con tutte le avversità che deve affrontare un emigrante, ragione per la quale, molti di noi sono dei lottatori, virtù che cercavo di inculcare in mio figlio Eduardo. "Ah caspita Dottore, non volevo offenderla pero le giuro – gli piaceva un sacco giurare – che quel moccioso mi colpì così tanto che anche ora, veda lei, dopo tanti anni, ancora ho un ricordo nitido di quando vidi i quadri a scuola e io non ero il primo, bensì questo tale Manuel Quiróz Talledo." In quel momento il mio cuore si fermò per qualche secondo: era il mio nome. Mi voltai, lo osservai e gli domandai: “Oscar Javier Roca?

Il tassista frenò di botto quasi provocando un incidente a catena. Con l’auto ferma in mezzo alla strada ci guardammo fissi negli occhi e solo lì finalmente lo riconobbi, dietro a quelle occhiaie e la barba grigia, vidi il volto del mio compagno di classe, trentadue anni dopo. Ci slacciamo le cinture di sicurezza e ci abbracciammo. Mi diede due pacche sulla schiena, poi si scostò nuovamente per guardarmi, con gli occhi pieni di lacrime. "Che strana la vita Manuelito, guardati, tu così elegante, questo vestito deve costare più del mio taxi diamine!". Scoppiammo a ridere. Negli ultimi cinque minuti di viaggio continuammo a ridere ricordando i professori, le marachelle, gli esami di matematica. Una volta arrivati ci saluttammo, dovetti insistere molto per far sì che prendesse i soldi della corsa. Mi strinse fortissimo la mano al punto da farmi male e ci scambiammo i numeri di telefono per uscire a prendere una birretta insieme, un giorno magari. Scesi dall’auto e vedendo come si allontanava velocemente ebbi l’impressione che no ci saremmo mai più rivisti. Ad ogni modo avrei potuto raccontare a Eduardo che oggi avevo avuto l’onore di reincontrare il primo della mia classe.

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