21.8.17

Il buon vicino


Un aiuto giovanotto” era –nel migliore dei casi- la frase con la quale accoglievano Modesto Carbajal nella Unidad Vecinal Matuta, quartiere dove era nato, cresciuto e molto probabilmente avrebbe passato il resto della sua vita. Solo cento metri separavano l’angolo nel quale lo lasciava il taxi dal suo appartamento, e nonostante la breve distanza qualcuno riusciva sempre a sottrargli qualcosa. Era quello il submondo che lo aspettava ogni sera, un luogo in cui le risse si sprecavano, così come i cani randagi e l’alcol. Mancava invece il resto, cominciando da un pezzo di carne nella zuppa all’ora di pranzo. Con la stessa analogia si potrebbe spiegare il suo destino: nuotava tra spaghettini scotti e verdura marcia, e lui era l’unico boccone che valeva la pena provare.

A differenza dei suoi vicini, Modesto venne educato a fare i compiti quando andava a scuola, a non andare in giro a bighellonare, a ringraziare e a lasciare sempre la mancia. Questi valori e il piccolo appartamento nel quale viveva furono l’eredità dei suoi genitori, che morirono uno dopo l’altro nel giro di un anno. Si amavano così tanto da non poter resistere molto tempo separati. Quando avvenne la dipartita Modesto già lavorava come avvocato in un’azienda petrolifera. Forse come segno di solidarietà, durante i due anni di cordoglio non subì nessun assalto, anzi addirittura una volta lo videro tornare a casa con cinque secchi di pittura e la mattina successiva bussarono alla porta cinque ragazzini pronti a dargli una mano. Con il passare del tempo, tuttavia, le cose tornarono alla normalità, cioè almeno quattro furti al mese. Quando gli andava bene lo salutavano cogliendo l’occasione di chiedergli un’offerta, un aiuto perché la situazione era insostenibile. Altre volte invece l’azione era ben più violenta e si ritrovava a terra con la tasca del pantalone rotta. A nulla servirono i suoi sforzi per imparare qualche mossa di karate e per di più non si vedeva certo realizzare spettacolari combinazioni di lotta contro i suoi aggressori, si sa, infatti, che soggetti come questi possono tirar fuori un pugnale o un coltello e colpire senza esitare. E men che meno poteva recarsi dalla polizia per denunciare che era vittima dei suoi stessi vicini, sarebbe stata la fine della convivenza o meglio, della sopravvivenza. Alla fine decise di rassegnarsi e di rilassare i suoi pensieri ascoltando le canzoni della musica italiana degli anni ’60, così poetiche e maliziose come la donna dei suoi sogni che ancora non aveva incontrato. I soldi potevano pure finire tra le sue “distribuzioni involontarie” – così aveva definito la sua sfortuna – però nessuno gli poteva togliere il piacere di danzare ogni sera tra i vinili brillanti, farsi accarezzare da un mix di parole bellissime, seppur incomprensibili, sorseggiando un bicchiere di rum e Coca-Cola gelata. Erano queste serate e i tramonti sul suo terrazzino, quando il sole già color arancione gli regalava sei metri quadrati di gloria e dove aveva collocato una sedia da spiaggia, che lo convincevano a rimanere in quel quartiere.

Una sera di quelle color arancio, mentre studiava affascinato l’iPod che aveva vinto a un sorteggio dell’azienda, qualcuno bussò alla sua porta. Era uno dei bambini del quartiere, anche se non lo conosceva era il dipinto della miseria come tutti gli altri. Aveva in mano un sacchetto di plastica e con un’inusuale timidezza gli chiese un po’ di zucchero, per favore. Inusuale perché i mocciosi del vicinato perdevano velocemente l’innocenza e l’ingenuità e si adeguavano pericolosamente all’ambiente ostile nel quale crescevano. Strano inoltre che gli avesse detto per favore. Il fastidio per essere stato interrotto scomparve presto, di fatto, riconobbe se stesso in quel bambino. Addirittura pensò che potesse aiutarlo. Gli avevano detto che poteva mettere tutte le canzoni dei suoi vinili nell’iPod. Lo invitò a entrare e dopo avergli offerto un bicchiere di Coca-Cola e avergli riempito il sacchetto di zucchero di canna lo convinse ad aiutarlo nell’ambiziosa impresa di digitalizzare un decennio di musica italiana. Con estrema naturalezza il piccolo cercò e scaricò ognuna delle canzoni e dopo un paio di ore staccò gli occhi dal computer e gli disse che il lavoro era stato completato. Modesto indossò gli auricolari e subito gli s’inumidirono gli occhi ascoltando le prime note di "Cinque minuti e poi". Gli diede una ricompensa come gesto di gratitudine infinita e il ragazzino se ne andò saltando. Vedendolo correr via, sorrise, con la speranza che almeno uno di quei ragazzetti avesse imparato a guadagnarsi una mancia senza, tra qualche anno, doverlo lasciare steso per terra con le tasche rotte.

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